Le Pen in frenata

Niente corbellerie sull’euro, grazie

In verità bisognerebbe aspettare i ballottaggi per dire esattamente chi ha vinto le dipartimentali in Francia se non che, a contrario delle attese create dai sondaggi, il risultato dei nazionalisti di Marine Le Pen è in frenata. Il suo “Fronte” supera il partito socialista al governo ma non sfonda la soglia del 30 per cento e la maggioranza dei francesi se preferisce la destra, ritorna a Sarkozy, come dire, all’usato sicuro. Per cui se ci si è convinti piuttosto in fretta dell’esigenza di congedarsi dall’infelice esperienza Hollande - il nipote di Mitterand lo ha stroncato in un’intervista sul Corriere della Sera di lunedì scorso - meglio perfino riesumare il bollito Sarko. I timori verso le politiche migratorie e le esigenze di sicurezza del Paese hanno sicuramente condizionato il voto, ma la netta posizione antieuro non ha convinto e non lo ha fatto perché le peripezie di Tsipras in questi primi mesi di governo, sono state esaurienti. Se persino i greci non se la sentono di uscire dall’euro, perché mai dovrebbero farlo i francesi. Il principale cavallo di battaglia del Fronte, “no alla moneta unica”, è stato disinnescato. La Francia è preoccupata, ma prudente. Un conto è voler discutere e se possibile negoziare con il rigore tedesco, uno completamente diverso, dare un semplice calcio alla costruzione comunitaria. I francesi non ci pensano proprio, troppe incognite a riguardo. Anche perché qualche segnale positivo di cambiamento dell’impostazione della politica economica, fra Commissione europea e Banca centrale, si inizia a vedere. In attesa di una promessa ripresa, attenzione quindi a mandare tutto all’aria. A maggiori ragione, non si comprende come illustri accademici delle nostre parti possano pensare di esasperare i toni, arrivando a paragonare la Germania di Schaeuble al Terzo Reich di Funk. Sono dichiarazioni inaccettabili, se non altro perché non ci sono campi di lavoro in Germania oggi e puntare sull’auto, è cosa ben diversa dall’intensificare l’industria degli armamenti. Così come un sistema del lavoro basato su bassi salari e alta produzione è cosa molto diversa dallo sviluppare un sistema alimentato con lo schiavismo di etnie considerate inferiori. Non che ci piaccia il rigorismo in assoluto, ma meglio evitare corbellerie antistoriche, se davvero vogliamo agire con una qualche ratio su una realtà difficile come quella con cui ci dobbiamo confrontare.

Roma, 23 marzo 2015